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Immagine del redattoreMr. Fiction

Una passione "Spacchiosa" Capitolo 3

Se volevo diventare un biker dovevo coltivare questa passione, rispettare alcune regole e iniziare ad avere un mio stile di vita. Ma che stile avrei dovuto avere se andavo ancora a scuola!? La figura del biker che avevo in mente era... capelli lunghi, pizzetto aggressivo, piercing, tatuaggi, gilet, quattro amici con cui far baldorie e ovviamente avere una bella moto custom. Non avevo ancora nulla di tutto questo, a parte gli amici e la passione. Da qualcosa dovevo pur iniziare, d'altronde stavo per compiere 16 anni e morivo dalla voglia di guidare una moto custom. Iniziai dunque a farmi crescere i capelli, a mettere il primo orecchino, guardando bene su che lato lo mettevo, il gilet lo ricavai da un giubbino di jeans, mi improvvisai stilista tagliando le maniche. Le toppe le avrei procurate più avanti se si fosse bucato. Avrei voluto il gilet in pelle, ma la taglia di mio padre non mi stava proprio aderente e poi penso di aver fatto la scelta migliore a non rovinargli la giacca, altrimenti non sarei qui a raccontarvi questa storia. Per pizzetto e tatuaggi avrei dovuto aspettare qualche altro anno. I miei genitori non presero bene questo mio stile, sembravo più un teppista da quartiere, ma si abituarono al mio cambiamento e all'idea. Mancava la cosa più importante e fondamentale, la MOTO e un po' di cultura sulle moto, quest'ultima pensando fosse un dettaglio trascurabile, si rivelò un impresa. A quei tempi avevo già una vespa, truccatissima quattro marce, certo non c'entrava nulla con le moto custom, ma era quello che potevo permettermi a quei tempi, il mio unico mezzo a due ruote ottenuto con tante suppliche verso i miei genitori. Ero l'unico ad avere la vespa tra i miei amici, loro avevano gli scooter, bei mezzi ma non avevano la frizione e il cambio manuale, il divertimento non era lo stesso. Andavamo a scuola e in giro per il paese combinando sempre qualche minchiata, non badando al codice della strada. Ripensando quei tempi eravamo davvero dei matti. Impennare era uno standard, se non sapevi farlo venivi deriso ed emarginato, si inpennava in mezzo al traffico, la gomma anteriore rimaneva nuova e finiva sempre per rimpiazzare quella posteriore quando arrivava allo stadio super slick. La gomma posteriore si consumava prima del previsto, la frenata non era mai dolce, dovevamo lasciare il segno sull'asfalto e sentire il fischio per far capire che eri arrivato. La partenza era quasi sempre accompagnata da un bornout. La segnaletica stradale per noi sedicenni erano solo figure che abbellivano le strade, i divieti d'accesso servivano per le auto, ma non sempre. Perché fare il giro più lungo, rispettando il divieto di acceso se tagliando risparmiavi tempo e benzina? I semafori se funzionavano si rispettavano in presenza di una pattuglia, solitamente non si faceva caso a quella intermittenza di lampade colorate, bastava guardare a destra o a sinistra. I marciapiedi, erano una corsia d'emergenza per evitare il traffico. Per non parlare del casco... Di sera non si metteva per non  rovinare la pettinatura, di giorno con il caldo afoso ed il traffico neanche. Se in lontananza vedevi una pattuglia, eravamo dei maghi a metterlo con rapidità ma eravamo diventati così esperti nell'individuare i posti di blocco e ad evitarli, che ogni volta che uscivi sembrava un film d'azione, guardia e ladri. Succedeva anche, che gli amici avevano il mezzo sequestrato dai genitori e da buon amico passavi a prenderli da casa, uscendo in quattro su uno scooter. Che dire..! La disciplina stradale era lontana e quasi inesistente, ma in moto sarebbe cambiato qualcosa? Ero ancora impegnato a vestirmi da biker e far casino con la vespa che avevo dimenticato la differenza tra una Harley e una Giapponese. .... continued next week



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